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lunedì 29 marzo 2010

Gitano, zingaro, rom o tzigano?


Preparo una lezione su un libro di Antonio Tabucchi, La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997, Feltrinelli), il quale esordisce così:

«Manolo il Gitano aprì gli occhi, guardò la debole luce che filtrava dalle fessure della baracca e si alzò cercando di non fare rumore. Non aveva bisogno di vestirsi perché dormiva vestito, la giacca arancione che gli aveva regalato l'anno prima Agostinho da Silva, detto Franz il Tedesco, domatore di leoni sdentati del Circo Maravilhas, ormai gli serviva da vestito e da pigiama. Nella flebile luce dell'alba cercò a tentoni i sandali trasformati in ciabatte che usava come calzature. Li trovò e li infilò. Conosceva la baracca a memoria, e poteva muoversi nella semioscurità rispettando l'esatta geografia dei miseri mobili che la arredavano. Avanzò tranquillo verso la porta e in quel momento il suo piede destro urtò contro il lume a petrolio che stava sul pavimento. Merda di donna, disse fra i denti Manolo il Gitano. Era sua moglie, che la sera prima aveva voluto lasciare il lume a petrolio accanto alla sua branda con il pretesto che le tenebre le davano gli incubi e che sognava i suoi morti. Con il lume acceso basso basso, diceva lei, i fantasmi dei suoi morti non avevano il coraggio di visitarla e la lasciavano dormire in pace.
-Che fa El Rey a quest'ora, anima in pena dei nostri morti andalusi?
La voce di sua moglie era pastosa e incerta come di chi si sta svegliando. Sua moglie gli parlava sempre in geringonça, un miscuglio di lingua dei gitani, di portoghese e di andaluso. E lo chiamava El Rey. La voce di sua moglie era pastosa e incerta come di chi si sta svegliando. Sua moglie gli parlava sempre in geringonça, un miscuglio di lingua dei gitani, di portoghese e di andaluso. E lo chiamava El Rey».


Giusto per raccapezzarci un poco sull'uso odierno di alcune parole in Italia...

Le parole che in Italia servono a denominare un certo gruppo di persone sono : zingaro, rom, nomade, gitano, tzigano (più raro: zigano). Sono messi in ordine di diffusione nell’uso comune, ma non tutti sono politically correct. Da ricordare comunque che vengono usati un po’ tutti, questi termini. Gitano e tzigano sono usati in senso poetico. Rom è un termine usato spesso in campo giudiziario. Nomade in campo giornalistico. Zingaro è trans-settoriale.

Zingaro

zingaro [zìn-ga-ro] s.m. (f. -ra)

1 Appartenente a un gruppo etnico originario dell'India, stanziatosi successivamente anche in Europa e nel resto del mondo, che conduce vita perloppiù nomade: accampamento di zingari

2 In similitudini e usi fig., persona girovaga, incline o soggetta a continui cambiamenti di sede: condurre una vita da z.; con valore spreg., persona dall'aspetto trascurato: così disordinato, sei proprio uno zingaro!

  • dim. zingarello

• sec. XV

è spesso usato in senso dispregiativo o comunque negativo; in realtà, il termine è quello con il quale si auto-designano coloro i quali vivono stanzialmente in Italia e che possiedono case.[1]

Rom (apocope della parola “romanì”) sono gli zingari nomadi provenienti dalla Romania (o dalle cosiddette zone balcaniche).

Nomade: termine generale per indicare gli zingari che non sono stanziali, quelli che si muovono su roulotte (ci sarebbe tanto da dire sulla differenza tra caravane e roulotte, mais laissons)

Gitano: (specifico) zingaro originario della Spagna

Tzigano: (specifico) zingaro della zona danubiana, solitamente suona il violino (violino tzigano).

Quindi il fatto che Tabucchi abbia scelto il termine gitano è perfettamente adeguato, trattandosi di uno zingaro proveniente dalla Spagna che vive in Portogallo (comunque nella penisola iberica). [2]



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[1] Almeno, secondo quanto mi fu detto dagli zingari Casagrande, alcuni dei quali frequentavano un liceo in cui ho insegnato alcuni anni fa.

[2]Che a Tabucchi stia particolarmente a cuore la sorte degli zingari, lo prova anche un testo da lui pubblicato due anni dopo, nel 1999, dal titolo: Gli Zingari e il Rinascimento; sottotitolo: vivere da rom a Firenze (Un libro a mezza strada tra il reportage e il pamphlet).


venerdì 19 marzo 2010

Ma che cavolo...?


cavoli

Espressione ricorrente, se vogliamo eufemistica, sostituisce una parolaccia (*cazzo*). Prevalente sugli altri termini sostitutivi (càppero, càcchio e càspita), viene convocato generalmente in queste situazioni:

  • ma che cavolo... vuoi/dici/fai? La presenza dell'ortaggio indica rimprovero

  • e che cavolo (anche nella versione radical-chic: ecchecavolo). Il rimprovero è mitigato, si dice in genere a guaio (altrui) già commesso, a mo' di commento.

  • cavoli! Può essere un'espressione di ammirazione

  • che frase del cavolo! Rimprovero

  • col cavolo che ... lo dico/lo faccio/ te lo/la do, etc (Qualunque verbo e qualunque persona). Non importa quale cosa gli altri si attendano da noi: questa cosa (dire, fare, dare, etc.) non arriverà!
  • Forma anche il verbo (su *incazzarsi): incavolarsi. Es.: Ora m'incavolo; mi sono incavolato; s'incavoleranno, etc. (forma tiepida - e comunque educata - dell'arrabbiatura)

  • E mo' son cavoli tua/mia! (espressione dell'Italia centrale): annuncia guai, problemi
  • Son cavoli... come sopra (ma l'espressione percorre tutta la penisola ed è italiana)


Ricordo dunque che cavolo sostituisce il genitale maschile espresso in termini volgari, e che si introduce per dare un po' d'enfasi al discorso, esprimendo lo stato d'animo di colui/colei che vi fa ricorso.



Già che ci sono, ricordo che per quanto riguarda l'ortaggio, ne esistono varietà molteplici: il cavolo verza, cappuccio, broccolo, nero, cinese, i cavoletti di Bruxelles, cavolfiore, i broccoletti.
Broccolo e broccoletti... ora che ci penso, danno luogo a una espressione figurata.
Ma questa è un'altra parola.


sabato 6 marzo 2010

Trattoria, Taverna, Osteria, Bettola: sinonimi?


Trattoria, taverna, osteria, bettola... non sono ristoranti, d'accordo, ma... sono sinonimi?
Metto 4 fotografie di seguito. Chi sa dirmi con quale delle quattro parole qua sopra definire i luoghi ritratti ? (non barate e non cliccateci sopra per vedere la soluzione)






Vi tolgo dall'impasse? Vi metto di séguito, le definizioni che sono andata a cercare nel dizionario etimologico italiano on line.

Ecco il risultato:


TRATTORIA

TAVERNA

OSTERIA

BETTOLA

E dunque, dopo aver letto tutto, se ne consegue che:

1. sono tutti posti in cui si mangia e/o beve a pagamento
2. per taverna e bettola il termine è usato in modo dispregiativo
3. in osteria si alloggia anche
4. nella bettola si beve più che mangiare
5. in taverna si beve soltanto

Che cosa rimane oggi?

Bettola è rimasto sinonimo di posto di bassa lega, dove si va a bere.
In osteria si va per bere e mangiare (in quest'ordine); nella taverna e in trattoria si va in primo luogo per mangiare, poi - certo - si dovrà pur bere per accompagnare i pasti.
Se si vuol alloggiare (con poco prezzo) si va alla locanda (ormai estinta perloppiù).

E le foto di sopra, allora?
Oggigiorno, chiamare un ristorante osteria o taverna è un vezzo (spesso è un modo civettuolo per rivendicare un'antica tradizione con prezzi da ristorante di lusso o quasi); altre volte serve a rassicurare il cliente (vale a dire: si mangia bene e si spende il giusto).
La taverna e l'osteria moderne richiedono luoghi antichi o antichizzati, la trattoria no (a meno che non ci sia la parola «antica» a precederla). La bettola in quanto tale - se tale - non presenta l'insegna BETTOLA. Se la incontrate, vuol dire che è un ristorante con i prezzi adeguati ai tempi moderni.

Tutto chiaro?
No?
Riguardate le 4 foto: i termini non sono sinonimici, ma i luoghi e i prezzi sì.
(Azzarderei che nel luogo della foto n. 2 si paga di più che negli altri tre)