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lunedì 12 dicembre 2011

Scarpe & affini: una parola multiuso

La scarpa e la lingua.
In realtà, dovremmo dire: le calzature, ché la scarpa non comprende gli stivali etc. Calzature comprende tutto il campo lessicale e semantico. Ma è un termine ormai desueto, che compare ancora soprattutto nelle insegne di vecchi negozi... di calzature.

Scarpa è la parola ormai invalsa per designare ciò che portiamo ai piedi, per cui diciamo in modo generico: "Debbo comprarmi le scarpe/Vado a comprarmi le scarpe/"  anche se magari pensiamo a un paio di stivali o di scarponcini.

Fermo restando che esistono tantissime parole per designare ogni tipo di calzatura, per il cui lessico rinvio a questo link, mi interessa riportare qui alcune espressioni idiomatiche e qualche proverbio legato alla scarpa & parole affini.

photo Jacqueline Spaccini ©2011

1) Togliersi un sassolino dalla scarpa
Un sassolino nella scarpa fa male, dà fastidio, quando lo si toglie si prova immediato sollievo. In senso traslato,  un sassolino nella scarpa è  quel che si ha - da tempo - nella mente o nel cuore, da dire, che non si è detto in nome del rispetto di una qualche regola di civiltà oppure perché impossibilitati. Toglierselo, metaforicamente parlando, ha una valenza di sentimento di rivalsa, più che di vendetta, e quella cosa che si dirà farà male a chi ne è il destinatario. Nella mente di chi si toglie il sassolino, ci sono frasi tipo: E invece se lo vuoi proprio sapere, adesso ti dico che...

2) Tenere un piede in due scarpe
Fisicamente è impossibile. Metaforicamente, parrebbe di sì. Atteggiamento tipico di chi è codardo e/o opportunista, il quale non prende una posizione chiara e univoca, quindi dice sì e sissignore a due schieramenti opposti (può essere riferito alla politica, ma anche a un uomo/una donna che stia contemporaneamente con due persone)

3) Appendere le scarpe al chiodo 
Ai tempi miei, si diceva scarpini (cioè un particolare tipo di calzatura sportiva). Ha due significati. Il primo è quasi fisico: appendendo le scarpe sportive al chiodo, si smette di fare attività sportiva agonistica; il secondo è più generale, sta a intendere che si è smesso di fare qualcosa e ci si è tolti dalla competizione, dalla mischia, ci si è ritirati, non facendo più quel qualcosa - più o meno particolare (le  bocce, il lavoro, l'amore, etc.) - che si faceva prima.

4) Fare le scarpe (a qualcuno)
Fingersi amico (o smettere di esserlo, fingendo di continuare a esserlo) di qualcuno per rubargli il posto di lavoro (o qualunque cosa che  l'altro facesse o  cui l'altro tenesse o mirasse).

5) Non c'è scarpa bella che non finisca per diventar ciabatta
Riferito in genere a un essere umano (ma anche a qualcosa cui in genere si ambisce). Tutto si guasta, si rovina.

6) Essere una scarpa 
In origine, riferito a un calciatore: non essere bravo, essere una schiappa. Non è per davvero un complimento, ma neppure un vero insulto. Non essere capace.
Da non confondere con (Essere/sentirsi una scarpa vecchia)

7) Essere un pantofolaio
Una persona che sta in pantofole, in casa,  magari seduto su una poltrona o stravaccato su di un divano:  essere indolente.

8) Contadino, scarpe grosse e cervello fino
detto molto noto che si basa sull'antica scarsa considerazione che si aveva dei contadini. Sta a indicare che il fatto che il contadino usi scarpe grosse (perché si lavora nei campi e si indossano zoccoli aut similia) non esclude che sia persona intelligente e, anzi, astuta.

9) Avere il cervello sotto la suola delle scarpe
Come sarebbe un cervello in tali condizioni? Stritolato, spiaccicato, piallato, frantumato, disintegrato. E dunque il significato è: non averne.

10) Avere [Stare con] una scarpa e una ciabatta ('na scarpa e 'na ciavatta, in dialetto romano)
L'ho sentita dire tante volte. Il significato è comprensibile: immaginate una persona che vada in giro così calzato. Quale immagine di sé evocherebbe? Di provvisorietà.
Esiste anche l'espressione Essere una scarpa e una ciabatta (variante: e uno zoccolo): detto di una coppia (anche politica, non solo amorosa), sta a indicare  che suddetta coppia è male assortita.

Ce ne sono tante altre. Sarei lieta di aggiungere espressioni nuove che voi conoscete bene o che avete letto/ sentito pronunciare/ anche una sola volta.


le mie scarpe al parco
P.S. Julien suggerisce: Fare la scarpetta. Giusto. La " scarpetta" è ripulire con il pane il piatto dove si è appena mangiato. In  genere, il sugo. Per un'immagine concreta, clicca qui.

sabato 12 novembre 2011

A briglia sciolta (espressioni figurate I)

A partire da una mirabile trasmissione radiofonica in francese, Tire ta langue (France Culture) (clicca qui)  sulle intercomprensioni tra lingue affini, m'è venuto in mente di parlare un po' di espressioni che evocano oggetti, frutta aut similia, espressioni idiomatiche e frasi fatte per dire altro.
Es. Andar per farfalle.


oppure: andare a letto [andare a dormire] con le galline.



Non è difficile da comprendere: quando si vogliono acchiappare le farfalle, il retino prende più aria che farfalle: si va a vuoto (si gira/si pesca a vuoto). Senza contare che è un'attività apparentemente inutile. Quanto alle galline, non ho mai visto a che ora si ritirano all'interno del pollaio (da vera cittadina), ma immagino che sia presto, prima che annotti, al crepuscolo.

Più difficile comprendere perché in Italia quando fa freddo, si dica: fa un freddo cane [1] mentre un francese convoca l'anatra e il suo è un froid de canard [pare perché quando si caccia l'anatra è nel periodo in cui gela l'acqua degli stagni] e per un siciliano, nel sud dell'Italia dove solitamente fa molto caldo, il freddo è da lupi.

Lasciamo in pace gli animali e passiamo a espressioni che ho faticato a capire. Come per esempio:
Tra il lusco e il brusco[2] . Che cos'è il lusco? E il brusco?
Lusco vuol dire losco e brusco vuol dire aspro. Il vocabolario Treccani dice: «tra lusco e brusco, del tempo quando la luce è incerta, come nel crepuscolo della mattina o della sera, e fig. della espressione del viso, fra mite e severa». Mite, direi proprio di no! Beh, non è che abbia poi capito molto del perché si dica così, a dire il vero, a parte la storia del volto rabbuiato e i suoni affini. Lusco è comunque una parola che sopravvive solo in quest'espressione

E scomodiamo il tempo atmosferico. A parte che quello che in Italia è un tempo da lupi  in Francia lo stesso è de cochon (maiale; se volete sapere perché, cliccate qui), a parte questo, dicevo, quando piove cadono dal cielo cose strane e soprattutto diverse da Paese a Paese.

L'acqua in Italia viene giù a catini (cielo a pecorelle, pioggia a catinelle), in Francia piovono corde (il pleut des cordes), in Inghilterra vengono giù cani e gatti (It's raining cats and dogs)[3], in Germania spaghi e cordicelle (Es regnet Bindfäden) e in Belgio piovono mucche (il pleut des vaches).  
Insomma, fosse solo acqua, passi, ma così... si salvi chi può! [Fatemi scherzare, ogni tanto]








___________
[1] Non credo molto alla spiegazione che si dà qui dell'origine dell'espressione italiana
[2] Entre chien et loup, At dusk, In the twilight, Im Zwiehlicht
[3] Anche in Croazia, quando piove, vengon giù gli stessi animali del Regno Unito, ma prima i gatti e poi i cani:  je kiša mačke i psi.  Mi fa venire in mente una famosa "striscia" di Peanuts...

martedì 1 novembre 2011

Terrazzo, terrazza, terrazzino e balcon(cin)i vari

Milano - photo by JSpaccini


Mi è stato chiesto: quale differenza passa tra terrazzo e terrazza?

Innanzitutto dico che nemmeno i dizionari sono completamente d'accordo tra loro. Per moltissimi, poi, i due termini sono sinonimici.

Quindi, seguirò soprattutto le mie conoscenze, la mia esperienza. L'esperienza degli occhi. 
E ne approfitto per aggiungere tutto quanto sia afferente ai termini in questione.


TERRAZZA (s.f.) in genere è uno spazio non coperto (o coperto con materiale rimovibile) abbastanza ampio (almeno 20-25mq) e - sempre in genere - esso è posto all'ultimo piano di una casa o di un condominio (può essere anche di un hôtel, in tal caso, prende il nome di *solarium*)


Gli attici [attico= Ultimo piano abitabile di un edificio, gener. rientrato rispetto alla facciata] presentano il loro punto forte nella onnipresenza di una terrazza (rispetto al punto debole: l'assenza di un ascensore per arrivare al 5° piano, p. es.) ; ma vi sono terrazze anche a piano terra.

TERRAZZO (s.m.) è in genere lo stesso tipo di spazio, ma più piccolo [oppure uguale ma di forma più rettangolare e meno quadrata], spesso parzialmente coperto (copertura in muratura) e delimitato da muri/muretti. Es.




TERRAZZINO (s.m.) idem, molto più piccolo, ma nei condomìni di città:

(questo è fin troppo bellino e grandino)


BALCONE
Innanzitutto il balcone per essere tale deve FORZATAMENTE sporgere dalla facciata del palazzo (casa e quant'altro).  Il balcone è in genere adibito al solo sostegno di piante, fiori e rampicanti. Insomma, non c'è posto per tavoli sedie o tavolini...
Il balcone storico più famoso è, a Roma, quello di Piazza Venezia, da dove si affacciava il Duce. Il balcone letterario (o pseudostorico) più famoso è quello di Giulietta e Romeo a Verona.
Es, di balcone (quello della foto sottostante è un po' piccolo, ma va bene come esempio lo stesso):

Bordeaux - photo by JSpaccini
BALCONCINO (conserva le forme, ma lo spazio è ancora più infimo). I balconcini sono spesso esempi artistici: 

Treviso photo by JSpaccini






A VOI DIRE ORA COME SI CHIAMANO gli elementi architettonici qui sotto raffigurati  [la terza foto è estremamente facile]:

(le foto qui di seguito sono state scattate  tutte da me a Milano)






1.

2.

3.

4.

(particolare)


5. 

6.

P.S. Per i francesi italofili: quando si va al bar, al caffè e si fa una consumazione (si prende un caffè o qualche altra cosa) a) in piedi (au comptoir), seduti ai tavolini, 2) all'interno/in sala (salle) oppure all'esterno (à la terrasse).  In italiano: all'esterno si dice: *fuori*, *(seduto) ai tavoli*,  *all'esterno*. In terrazza o alla terrazza è un francesismo - a meno che non ci sia per davvero una terrazza. Il che può sempre essere...

Espressione giovanile: *star fuori come un balcone* (dire una mattana, una bestialità)
.


domenica 30 ottobre 2011

Tavolo o Tavola?


A volte una lingua possiede una parola omnicomprensiva, penso al francese *table*.
Per questa parola, in italiano bisogna scomodarne  altre.
Ne inserisco alcune, ma la lista non è esaustiva (e comunque parte da un confronto francese-italiano):

photo by Jacqueline Spaccini © 2010
1. tavolo (s.m.) : quello che abbiamo in casa e che si trova in cucina e/o in sala da pranzo. Il tavolo.

1.1. tavolino (s.m.) : in genere, un tavolo basso che si mette davanti al divano o a una poltrona. Il tavolino. Può a volte intendersi come table de nuit (= *comodino*)


2. tavola (s.f.) : in genere, nel parlare comune, si intende la *tavola apparecchiata*, con tanto di tovaglia e vettovaglie. Tant'è che si dice: «A tavola!», quando si invitano le persone ad accomodarsi, per il pranzo o per la cena. La tavola.

 2.1. tavola (s.f.) : da intendersi come illustrazione all'interno di un libro. Si usa anche il francese planche.  lLa tavola (e la planche).

2.2. tavola pitagorica (s.f.) :  questa - detta anche *tabellina* (le tabelline in generale, la tabellina del 5, del 6, del 9, p.es. in particolare). La tavola pitagorica (da Pitagora, chiaramente), la tabellina.
2.2.1. tabella (s.f.) : questa, per es. quante ne preparo per mettere i voti ai miei studenti! La tabella (tableau francese)

2.3. tavola (s.f.) : nel senso di quadro (in genere, un olio) dipinto su legno. *tavola del Quattrocento*, *tavola fiamminga*, per es.

2.4. tavola (s.f.) da stiro... meglio dire:  asse da stiro L'asse da stiro è sostantivo maschile.

2.5. tavola (s.f.)  : nel senso di asse (del pavimento), così.

2.6.  tavola (s.f.). espressione: a) il mare è una tavola = è piatto; b) far onore alla tavola =  mangiare con gusto, di tutto e abbondantemente e mostrarlo; c) tavola rotonda = dibattito, riunione; d) vino da tavola = vino di qualità ordinaria; e) la buona tavola = trattoria/ristorante (aut similia) in cui si mangia bene;


3. tavolata (s.f.) : non è un oggetto, bensì l'insieme delle persone che si mettono a tavola. La tavolata è in genere sempre allegra (automatismo linguistico).


per i francesi:
épreuve sur table = compito in classe
table = banco (quello di scuola)
table de cuisson = piano cottura (in cucina)
table des matières = indice
table d'hôte = menù* (a prezzo e a orario fisso)
planche à voile = wind-surf

________
* in italiano,la parola francese *menu* prende l'accento sulla *u* (= menù)

sabato 29 ottobre 2011

Parentele, articoli determinativi e aggettivi possessivi

una scena del film Parenti serpenti

C'è una REGOLA che i miei studenti francesi (e gli stranieri in genere) faticano a imparare quando parlano italiano: la presenza o la non-presenza dell'articolo determinativo davanti all'aggettivo possessivo...
Quando finalmente imparano la regola, lo usano dappertutto. Ma non sempre occorre.
Per esempio quando l'aggettivo possessivo è seguito da un nome di parentela, bisogna stare attenti.

Vediamo di spiegarlo bene qui.

Ma prima mettiamo una lista di nomi di parentela:

madre (mamma) - padre (papà)
nonna   - nonno
zia - zio
moglie - marito

sorella - fratello
figlia - figlio
cugina - cugino
nipote [bisex(1]) - vale per i nipoti di zii e per i nipoti di nonni

cognata-cognato
suocera-suocero
nuora-genero

Come si vede, una lunga lista (non lunghissima, come in altre lingue).

Allora, abbiamo detto che quando si studia l'italiano, si apprende che l'aggettivo possessivo italiano ESIGE l'articolo, a differenza di altre lingue;

facciamo un esempio:

il mio(2)  amico
= = = = = = = = = = 
mon ami (français)
my friend (english)
mi amigo (español)
mein Freund (deutsch)
moj prijatelj (hrvatski)
meu amigo (português)

MA NON SEMPRE. A VOLTE, 
CI SONO DELLE ECCEZIONI
REGOLA n. 1
 Davanti ai nomi di parentela, si mantiene l'articolo determinativo (il, la, //i, le)
se i nomi sono questi:


(la mia) mamma
(il mio) papà, babbo (usato soprattutto in Toscana e in Umbria)
e inoltre davanti a tutti i nomi di parentela usati in forma vezzeggiativa
es.
il mio/il tuo/il suo/etc. : babbino, papino [papone/paparino(3)], maritino, cognatino, zietto, nonnino, fratellino, cuginetto, figlioletto, figlietto, figliolino, nipotino
[nuorina, suocerina aut similia, non si usano. Chissà perché!)

la mia /la tua/la sua/etc: mammina [mammetta(3)], mogliettina, cognatina, zietta, nonnina, sorellina, cuginetta, figlioletta, figlietta, figliolina, nipotina 


amante (il mio/la mia) la parola è bisex
fidanzato/fidanzata (il mio/la mia)


REGOLA n. 2

NON SI METTE L'ARTICOLO DETERMINATIVO se i nomi sono questi:

madre, padre (mia madre, mio padre)
nonna   - nonno (tua nonna, tuo nonno)
zia - zio (sua zia, suo zio) etc.
moglie - marito
sorella - fratello
figlia - figlio
cugina - cugino
nipote (bisex) - vale per i nipoti di zii e per i nipoti di nonni

cognata-cognato
suocera-suocero
nuora-genero

ma attenzione! 
la mia ex-moglie/il mio ex-marito; 
la mia zia (o altro parente)/il mio zio + aggettivo (preferito/a, adorato/a, bellissimo/a, gentilissimo/a, lontano/a, spagnolo/a)
oppure:
il mio cugino (o altro parente tranne - ovviamente - la madre e il padre) + di + luogo geografico (p. es. Melbourne).

Un po' più chiaro, ora?






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(1) quando dico bisex, intendo che vale tanto per il maschile quanto per il femminile (finisce per -e)
(2) scrivo «mio», ma vale per tutti gli aggettivi possessivi.
(3) con diverse sfumature, esistono anche papone e paparino e anche mammetta. *Nonnetta* esiste, ma in genere chi lo usa, indica una persona anziana che non è sua *nonna*, ma visto l'aspetto potrebbe esserlo. Non è educato, in italiano, dire nonnetta a una donna anziana.

domenica 11 settembre 2011

S'è smarrito... un verbo

L'altro giorno sono andata all'ufficio degli oggetti smarriti. Anzi no. In Francia si chiama Bureau des Objets Trouvés. Ho ripensato a Prévert.


Ma soprattutto m'è venuto in mente che in Italia s'è smarrito... un verbo.
A dire il vero, tanti verbi (sostantivi, aggettivi, avverbi e compagnia bella) si sono smarriti nel frattempo, ma iniziamo da SMARRIRE.

Smarrire è un verbo che - lo si sente subito - italiano non è. È di origine spagnola, viene da marrar (c'è quel *marr che funziona da stopper acceso) e significa perdere; ma anche confondere e anche errare. Interessante.

Ai tempi di Carlo Magno qualcuno che era marrito era turbato. Quindi: impedito, fermo, impossibilitato a proseguire, giacché il suo turbamento era un ostacolo (dal germanico *marr = ostacolo, difficoltà).

Il verbo smarrire è stato sempre pochissimo usato. E spesso in  espressioni preconfezionate:
smarrito cane, smarrito gatto, smarrita valigia, smarrita patente, smarrito passaporto, smarrito cellulare, smarrite chiavi (di casa o dell'auto).

Perché usare il verbo smarrire (allo scritto), quando nella vita quotidiano impieghiamo l'altro verbo, perdere?

Chi di noi direbbe a un amico: 
«Sono disperato, non so più come rientrare a casa: ho smarrito le chiavi
 Nessuno. 

Dire(m)mo:

«Oddio, mi sono perso le chiavi //ho perduto le chiavi di casa//... e adesso come faccio a rientrare?»
Non so, ma ho l'impressione che quando usiamo il verbo smarrire intendiamo che la colpa non è  nostra, come se le cose, gli oggetti e gli animali, avessero deciso spontaneamente di perdersi, di abbandonarci. Che idea bislacca, eh?

Ma torniamo al verbo in contesti più alti. Nel testo poetico italiano per eccellenza, troviamo:
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita...
Dante, già.
la foto è prelevata da qui

Smarrire la via, smarrire la strada (che si intenda in senso fisico oppure in senso figurato) e in ultima analisi smarrirsi.

Lo so, ormai, che una persona possa smarrirsi è cosa che può accadere solo negli stabilimenti marittimi, d'estate, quando, da un altoparlante, una voce - senza accenti di partecipazione emotiva -  annuncia:

Smarrito bambino di 5 anni con costumino rosso e cappellino blu. Chi lo ritrovasse è pregato di  accompagnarlo al Bagno n°...

Insomma, anche il povero verbo SMARRIRE... si è smarrito. 
Gianni Rodari ci scriverebbe una favola, su questo.
E forse, chissà, lo ha pure fatto.

mercoledì 6 luglio 2011

Matrimonio morganatico

Francesco Didioni,  La bella Rosin, 1890 (link)

Leggevo ieri notte che la bela Rosin, come veniva chiamata Rosa Vercellana, non venne ammessa al capezzale del coniuge, il re Vittorio Emanuele II. I figli sì (ne avevano avuti due, Vittoria ed Emanuele), lei no. Perché?
Perché del re era soltanto la moglie morganatica.

Da ieri notte ripenso al fatto che pur sapendo che cosa significhi, non ho mai saputo da dove provenisse questa espressione; sicché stamani sono andata a documentarmi.

Intanto il significato. Quando si contrae matrimonio morganatico, significa che uno dei due contraenti (uomo o donna, quasi sempre donna) , uno dei due coniugi insomma, non ha gli stessi diritti di un coniuge normale. Il fatto è che uno dei due è un principe o una principessa e l'altro un borghese se non addirittura qualcuno di "bassa" estrazione. Uno di sangue blu e l'altro no.

Rosa Vercellana, piemontese d.o.c., era figlia di un militare fedele alla bandiera sabauda (tanto da rifiutare di servire Napoleone all'Elba, pur appartenendo alla Garde Impériale creata dal Còrso). Analfabeta (eh già!) quando incontrò il giovane re (ventisettenne) -  ma pur sempre maritato e padre di 4 figli - ne divenne (forse forzatamente, venne rapita dal re) l'amante a 14 anni. 
Contessa di Mirafiori e Fontanafredda a 25 anni (per volontà di Vittorio Emanuele, certo), visse in un castello acquistato per lei dal re; più tardi in una sua [sua, di lui] residenza privata presso Venaria Reale.

Théodore Géricault, Officier de la garde impériale (1814)

Divenuto vedovo nel 1855 della sposa-cugina Maria Adelaide, nel 1869, in punto di morte a causa di una grave malattia, Vittorio Emanuele II la sposa morganaticamente, Rosa (1). Il rito civile sarà ripetuto  alcuni anni dopo, nel 1877. Il re morirà 2 mesi dopo, nel gennaio del 1878.
Questo per la storia.

Etimologicamente parlando, la parola nasce parecchio tempo fa. Parola latina(2), ma "imbastardita" col germanico e longobardizzata, viene da *morgen gabe* (ted. mod.) [longob. = morgincap ], significa dono del mattino, cioè del mattino successivo alle  nozze che consisteva nel ricevere in dono 1/4 dei beni del coniuge. Il mattino dopo, perché le  nozze venivano celebrate di primo mattino (a differenza dei matrimoni normali che avevano luogo a mezzogiorno). Un matrimonio con restrizione, dunque. 

Curiosità: durante il rito,  lo sposo dava la mano sinistra alla sposa di rango inferiore, invece della destra, come era (e forse è ancora) costume.

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(1) Questa cosa mi ricorda Filomena Marturano.
(2) «matrimonium ad morganaticam» (lat. barb.)

venerdì 1 luglio 2011

OMAGGIO, I MIEI OMAGGI...


Volevo rendere omaggio a una amica della Magna Grecia calabra. Cercavo una parola su cui soffermarmi, ma non mi sovveniva nulla.

E poi ho pensato proprio a quella, *omaggio* che è una parola il cui significato giunge dal feudalesimo gallico, seppure di origine latina (da HOMINATICUM).

Sicché omaggio viene  da hommage (fr. provenz.) [che contiene la parola *homme*]. 

Che c'entra l'uomo con l'omaggio?


Poco, perché quell'uomo è in realtà da intendersi come servo, come vassallo, che si prostra davanti al suo signore e fa atto di fedeltà,  in ginocchio e con le mani protese avanti in quelle del suo signore padrone. Siamo nei dintorni del 1100 d.C.
Qualche tempo dopo, il termine si espanderà e l'omaggio passerà a significare anche un segno di deferenza, di cortesia, magari verso una dama (1165).

E allora, i miei omaggi!

martedì 5 aprile 2011

Agli amanti (non italiani) della cucina italiana

Non è una parola di cui parlerò qui ora, no.
Parlerò di alcune parole che sono anche alimenti, cibi, piatti percepiti come TIPICAMENTE italiani ma assaggiati all'estero.

Mi spiego meglio: spesso i miei amici ritengono che la pasta che io cucino sia troppo al dente, che il mio caffè italiano sia troppo forte. Ma non è così. Sono i loro parametri che sono falsati.



  1. La pasta italiana va cotta al dente (e non scotta). D'altronde gli spaghetti della marca italiana  B****la cuociono in molto meno tempo qui (in Francia, dove vivo). Evidentemente, il grano  è diverso.
  2. La pasta non si offre come contorno (garniture).
  3.  Sulla pasta con un condimento che prevede aglio non ci va il parmigiano. Ho visto mettere il parmigiano sull'arrabbiata, sacrilegio!
  4. Se il sugo[2] prevede cipolla, sì (ma non è una regola).
Naturalmente, ognuno è libero di fare come vuole, ma non mangia all'italiana.

In Francia vedo sempre la panna nei piatti di pasta. Non è una cosa italiana. La panna si mette: a) nelle pennette al salmone b) con il risotto ai gamberi (io non ce la metto) o ancora c) con le pennette alla vodka. Punto. La panna non va altrove[1].

Passiamo ai secondi. Se non si è vegetariani, in Italia si ama molto la carne, come secondo. Si amerebbe anche il pesce, forse, se costasse meno.
Affettati (charcuterie), formaggi, uova sostituiscono bene la carne e il pesce.

Verdure, ortaggi, legumi e insalate accompagnano sempre i nostri secondi, sono il contorno e solitamente NON si mettono nello stesso piatto della carne o del pesce (io sì, perché sono in casa, con i familiari. Ma se vengono gli ospiti, no); si mettono in un piattino a parte. Lo dico perché in Francia invece è tutto nello stesso piatto (personalmente lo preferisco).

In Italia un giro di formaggi prima del dolce o della frutta NON è obbligatorio. Quindi non vi stupite se non vi verrà offerto.

Se la padrona di casa vi offre qualcosa e voi rispondete con un « grazie », in Italia quel grazie equivale a un sonoro «sì»; ricordatelo!
Solo se siete in confidenza, potrete dire no così: «No grazie, sono pieno/a». Risponderete: «Grazie, è tutto ottimo, ma sono sazio/a». Se siete timidi e sazio vi pare troppo altisonante, potete dire «(no), grazie, (per me) va bene così».

Il caffè è onnipresente, specialmente se siete nel Sud (o a casa mia). Altrove, va forte il tè. E poi dopo il caffè ci sarebbe l'ammazzacaffè. Ma questo, lascio a voi il piacere di scoprirlo. :)

Ed ecco il video di Alex Britti con la sua canzone 7000 caffè:






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[1] Esisteranno di sicuro altre ricette sofisticate con la panna. Ma senza esagerazioni di sorta.
[2] Quando dico sugo non voglio necessariamente SOLO quello con il pomodoro, ma anche un sughetto fatto con le zucchine, aglio e prezzemolo etc.

domenica 23 gennaio 2011

Diminutivi, vezzeggiativi e compagnia bella (qualche esempio)

Quando si era piccoli, l'insegnante dava grande importanza ai sostantivi (o nomi comuni).
E non trascurava quell'importante corollario costituito dalle alterazioni (vezzeggiativi, diminutivi, accrescitivi e peggiorativi).

Apparentemente sembra facile.
Si prenda un sostantivo (sia esso maschile o femminile) nella forma singolare o plurale.

Esempio al femminile: casa/case.
Esempio al maschile:  ragazzo/ragazzi.

Vuoi il diminutivo? Togli l'ultima lettera [*cas*-], e aggiungi -ina, -ine, -ino, -ini
casina, casine // ragazzino/ragazzini ma anche:  -etta, -ette, -etto, -etti

casetta, casette//ragazzetto/ragazzetti

Vuoi il vezzeggiativo? Fai come sopra, ma aggiungi -uccia, -ucce,-uccio, -ucci
casuccia/casucce//ragazzuccio/ragazzucci... confesso di averli sentiti forse una o due volte nella vita.

Vuoi l'accrescitivo? + -ona, -one, -one, -oni
casona, casone// ragazzone, ragazzoni

Vuoi il peggiorativo? + -àccia, -àcce, -àccio, -àcci (ma anche -àstro, -ònzolo, -iciàttolo, -ùcolo: )
casaccia, casacce//ragazzaccio, ragazzacci

Sembra facile, ma poi ci sono i soliti ingarbugliapensieri...

E se volessi fare una parola che comprenda diminutivo + vezzeggiativo? Si può fare e non  si può fare: per esempio, casettina, esiste, ma ragazzinetto non esiste.


Mustang fotografato da Daniele Romano@2010
Ma prendiamo il caso di cane:
canino esiste, ma è un dente
cagnolino e cagnolina sono dunque il diminutivo (che già assomiglia a un vezzeggiativo), mentre cagnetto anche esiste, mi fa pensare che il cane in questione è piccolo, che fa tenerezza, ma non per forza che sia carino.

Il fatto che il diminutivo si è allargato, occupando lo spazio del vezzeggiativo, mentre il vezzeggiativo vero e proprio ha assunto un carattere restrittivo, direi anche connotato con sufficienza.
Una cosa caruccia non è proprio carina, le si dà un voto di sufficienza. Naturalmente, parlo del parlato comune di oggi.

Cagnone e cagnolone per l'accrescitivo e cagnaccio per il peggiorativo. Come vedete il problema di cane non sta nel suffisso, bensì nella radice della parola che acquista una *g (can* diventa cagn*).

E ne avrei da dire ancora. Ma mi fermo qui, per ora.

Per le false alterazioni che seguono, la fonte è wikipedia

Esempi

  • Falsi accrescitivi: botto / bottone, burro / burrone, gallo / gallone, lezio / lezione, pianto / piantone, picco / piccone, veglio / veglione
  • Falsi diminutivi: botto / bottino, caso / casino, matto / mattino, mulo / mulino, tacco / tacchino
  • Falsi peggiorativi: addio / addiaccio, foca / focaccia, polpo / polpacci
  • Falsi vezzeggiativi: aspo / aspetto, bolla / bolletta, gazza / gazzella, gazza / gazzetta, salvia / salvietta, stampa / stampella, tino / tinello
  • Cambi di genere: botola / botolo, mostra / mostro, banco / banca, colla / collo

domenica 9 gennaio 2011

Come si chiamano i momenti per mangiare durante la giornata

colazione - by Jacqueline Spaccini©2011
Diciamo che di regola pensiamo che esista soltanto la colazione, il pranzo e la cena.
Gli orari attraversano l'Italia.

I.   colazione (6h30-9h00)
II.  pranzo (12h-14h)

III. cena (19h-21h)

E invece no.

Senza contare che, in un tempo ormai lontano, il pranzo era la colazione e la cena era il pranzo.

Ma da parecchio, la colazione corrisponde al petit-déjeuner francese, il pranzo al déjeuner e la cena al dîner

Esiste però anche la merenda (goûter francese), parola che in Italia si usa generalmente per lo spuntino pomeridiano dei bimbi (anche se il dizionario etimologico lo designa come «mangiare vespertino», non come cosa da ragazzini, insomma).

Ed esiste anche il pusigno (il souper francese da non confondere con la collation), un tempo solo «uno spuntino» raffinato, uno spizzicar fuori dall'ora giusta, poi una sorta di mini-cena sull'uso dei teatranti, molto tardi (comunque dopo la mezzanotte), a volte consistente anche in un solo piatto (la cosiddetta «spaghettata» di mezzanotte).

La colazione di metà mattinata, viene in genere designata con una parola straniera inglese: snack (una volta esistevano anche gli snack bar, in Italia),  break  (= pausa) oppure spuntino di metà mattina[ta] (il proletario casse-croûte) .

A me - solo a parlarne - viene già fame.