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martedì 30 giugno 2009

è francese ma è ormai italiano: il bidet

Un tempo esso era così.



Ho messo quest'immagine per far capire bene l'origine del suo nome che sembra francese, che è francese, ma tutto è in realtà italiano.
E cominciamo.

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La parola: bidet (variante: bidè)
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Nel primo caso lo scriviamo con grafia francese; nel secondo, la parola è scritta così come è sentita pronunciare. La maggior parte delle volte si scrive *bidet* (lo stesso vale per gilet/gilè).

Sono andata a vedere che cosa dice internet a proposito della storia di questa parola. Ho letto, ma non sono d'accordo. Io mi ricordo che il mio prof. Ignazio Baldelli la raccontava diversamente. E se la memoria mia non falla, la racconterò alla sua maniera.

I versione
Il bidet, quell'accessorio che si trova solitamente "montato di serie" nei bagni* degli italiani** (o italianisants) è un'invenzione italiana. Il problema era: come chiamare un oggetto che serve per le abluzioni, ma che sia composto di una sola parola e non sia un nome volgare? La forma dell'oggetto sanitario era quello (visto dall'alto) di un cavallo, come si dovesse montare in sella (lo dico en passant: si siede sopra, a cavalcioni, guardando i rubinetti!). Ma chiamarlo cheval era poco esotico, anche chi non conosce il francese (la lingua raffinata), capirebbe! Allora perché non optare per ronzino, un cavallino resistente che non scalcia, buono buono calmo calmo? Trovata la parola: bidet.

II versione
Il bidet è un'invenzione francese del XVIII secolo, l'ideatore sarebbe tale Rémy Peverie.

Particolarità: gli italiani sono molto fieri dei loro bidet o bidè (tutte le case italiane ne sono regolarmente provviste) e si innervosiscono quando recandosi all'estero si accorgono che gli altrui bagni ne sono deficitari. Personalmente, all'estero, ho visto bidet adibiti a questa funzione:


No comment.
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* Approfitto per dire che in Italia si dice semplicemente *bagno* (una casa con 2 bagni; vado al bagno; dov'è il bagno?; sei andato al bagno?). I francesi che hanno salle de bain, salle d'eau, toilettes... troppo. In Italia si mette tutto nello stesso locale: vasca/doccia; lavandino e wc.

** i nomi di nazionalità sono minuscoli come gli aggettivi.

sabato 27 giugno 2009

Nessuno nasce maestro... quando usare la parola maestro

Però non è facile nemmeno diventarlo.


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La parola: maestro, maestra
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Maestro deriva dal latino *magister* > magistro > ma(g)istro > maestro

Tante sono le accezioni di questa parola.
D'istinto, maestro/a fa tornare alla mente la scuola elementare. Il maestro e - più spesso - la maestra sono a torto o a ragione i responsabili della conoscenza della lingua che avremo da adulti (a meno che non si facciano enormi sforzi per migliorarla o peggiorarla).

All'estero, maestro (e non più maestra) evoca immeditamente i virtuosi della musica, del cinema, pittura o del teatro. Maestri sono allora Abbado, Fellini, Raffaello e Streher (per esempio).

Si usa anche in questi casi:
  • maestro di vita (colui che agli occhi di un individuo appare come persona cui ispirarsi nell'affrontare l'esistenza quotidiana, una specie di guru più o meno laico)
  • maestro di cerimonia (in un matrimonio importante, è colui che: annuncia gli ospiti, l'inizio del pranzo, il taglio della torta. Organizza e coordina la cerimonia nuziale)
  • Gran Maestro: onorificenza

Una ciliegia tira l'altra...

  • magistrato (dal significato di magister = governatore)
  • mastro (è il maestro artigiano; nella favola di Pinocchio, Geppetto è mastro Geppetto e fa il ciabattino e il suo amico-nemico collega è Mastro Ciliegia che fa il falegname)

  • maestrale (vento che soffia da nord-ovest) deriva da *mistral* che a sua volta deriva da *maestral* cioè da "maestro" (nel significato di principale)
  • per antononomasia, il Maestro è Gesù (e il maestro dei filosofi è Aristotele).

origine dell'espressione italiana "Canta che ti passa"


Leggenda vuole che questa frase - Canta che ti passa - sia stata incisa sulla parete di una dolina carsica (cfr. foto qui sopra), che l'abbia poi avvistata lo scrittore (all'epoca alpino) Piero Jahier, il quale la scelse come epigrafe a una sua raccolta poetica Canti dei soldati (1918).

alpino della I guerra mondiale

Questa espressione viene usata per confortare, in maniera leggera e talvolta ironica, qualcuno che ha il morale basso ("a terra").

Insomma, se sei triste,
abbattuto,
disperato
o semplicemente sfiduciato,
se non sai più che cosa fare,
se probabilmente non puoi fare nulla,

canta che ti passa.

Se poi non (ti) passa, avrai perlomeno cantato.

venerdì 26 giugno 2009

Nano e altre parole ormai politically incorrect

la foto è di ♥iana♥

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La parola: nano
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Ci sono parole che hanno subìto un ostracismo, una gogna e un declino inesorabile. A vantaggio (magari) di un eufemismo.

Una di queste parole è *nano* (ma vale anche per cieco, sordo, muto, handicappato, disabile, etc.... Dovrei scrivere un post per ognuna di queste).

Se ci si riferisce a una persona affetta da (cito il dizionario De Mauro) "anomalia dell’accrescimento somatico contrassegnata da riduzione dello sviluppo della statura e anche del peso della massa corporea", la parola è bandìta.
E al suo posto, non si sa bene che cosa usare.

In Francia (Paese in cui vivo), hanno risolto con l'espressione *personne de petite taille* (1), ma in Italia la traduzione equivalente non funziona.


Essa è correntemente usata:
  • per i nani di Biancaneve (siano essi quelli della favola o quelli di gesso che si mettono in giardino)
  • nel suo significato figurato, (cito sempre Tullio De Mauro) per "persona di scarsa levatura intellettuale e morale" (il minus francese)
  • per l'attuale presidente del consiglio (in senso ovviamente spregiativo), dacché un ex comico italiano divenuto opinionista, Beppe Grillo, lo qualificò "psiconano" (unendo così, con una sola parola, scarsa altezza fisica e levatura morale)
  • per i personaggi presenti nell'arte (penso per esempio alle varie rappresentazioni che ne ha dato il pittore spagnolo Diego Velazsquez)
  • in medicina è termine corrente (ma amerei conferma da parte di un medico).


Resta che si prova imbarazzo a designare una persona per la sua patologia.

Si potrebbe obiettare che invece di ricorrere all'eufemismo, potremmo bellamente saltare l'ostacolo non dicendo nulla, facendo un'ellissi.

Certo, ma non è un modo di risolvere la questione verbale, bensì una maniera di evitarla.

Per una riflessione competente sul coinquilino segreto che ci abita, rimando a questo bel post dello psicologo e analista Luciano Perez (clicca qui).

P.S. Che il politically correct (o incorrect) sia una sottile ipocrisia me lo dà a pensare il ricorso all'espressione straniera. D'altra parte, confesso che quando leggo Italo Calvino scrivere *negro* senza porsi problemi di sorta (fino alla fine degli anni Sessanta si usava) non posso impedirmi di sentire una scossa elettrica lungo la spina dorsale e un moto di disgusto salire alla bocca.
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(1) A questo proposito, credo che un buon aiuto alla sensibilizzazione francese sia stato occasionato dalla fortunata serie TV Joséphine, ange gardien interpretata dall'attrice lionese Mimie Mathy.

giovedì 25 giugno 2009

l'uso della buonanotte


la foto è di ♥iana♥


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La parola: Buonanotte (Varianti: bonanotte, buona notte)
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Esistono due modi di dire o locuzioni interiettive, la cui origine è controversa (e quindi non mi ci attarderò), ma il cui uso è ben chiaro.

Mi riferisco a
  • Buonanotte (ai) suonatori
  • Buonanotte al secchio!
*Buonanotte (ai) suonatori* [1], è un'espressione che si usa quando si abbandona una discussione e/o un gruppo, vuoi perché non si è d'accordo, vuoi perché si è fatto tardi.

  1. Sapete che vi dico? Buonanotte ai suonatori!
  2. Vabbè, non sono d'accordo. Buonanotte ai suonatori.

O anche la si può usare al riguardo di qualcun altro che se n'è andato, che ha troncato la discussione

3. Hai visto come si è comportato? Ha voltato le spalle e... buonanotte ai suonatori!

*Buonanotte al secchio* (con o senza punto esclamativo) chiude una frase con un po' di rassegnazione ma anche di indifferenza. O forse di cinismo. Ma talvolta di sconforto. Ha il significato di "lasciamo perdere", "non parliamone più".
Insomma, la nuance - la differenza - la fa il tono di voce o l'argomento.

4. Abbiamo perso ancora una volta le elezioni... Buonanotte al secchio!


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[1] Si può dire con o senza la preposizione articolata *ai*.
Esiste anche la forma Bonanotte, sonatori!