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mercoledì 2 maggio 2012

Burattino o marionetta?


C'era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr'Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. 

Nel capitolo II, un altro falegname, mastro Geppetto si reca da mastro Ciliegia e gli chiede un pezzo di legno, perché gli frulla un'idea per la testa:

- Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino; che ve ne pare?

Come tutti sanno, quel burattino diventerà Pinocchio.

Ma Pinocchio è per davvero un burattino?

Burattino. (dal vocabolario TRECCANI) «Fantoccio costituito da una testa, solitamente di legno, alla quale è congiunta una veste, completa in ogni particolare in alto, che termina nella forma di un sacchetto aperto in basso; appare alla scena della baracca o castello sino a mezzo busto o poco più, manovrato dal basso dal burattinaio che gli dà vita apparente con una sola mano, infilando questa come in un guanto nella veste del burattino con l’indice che mantiene e anima la testa, mentre il pollice e il medio passando nelle maniche dell’abito formano le braccia.  


Altri tipi di b., come i b. di Giava e i b. del Hänneschen-Theater della Renania, sono a figura intera, di varie materie, manovrati sempre dal basso per mezzo di due o più bastoncini di legno o d’osso che muovono il corpo e il braccio destro (o ambedue le braccia)».

Il dizionario etimologico precisa che il termine burattino deriva da *buratto* [o burattino] dal fr. buratine*. Era la stoffa con la quale, in origine, si confezionavano questi pupazzi. Poi si passò al cencio (pannolenci) e ad altri tipi di stoffe. Il buratto, un tempo "vestina" dei fantoccini da commedia, è divenuto un tessuto etrasparente e serve per cernere la farina, stoffa da setaccio, insomma. Oggi per metonimia, indica il setaccio (buratto).



Marionetta (dal vocabolario TRECCANI) «marionétta s. f. [dal fr. marionnette, propr. «immagine della Vergine; bambola», der. di Marion, dim. di Marie «Maria»]. 

Fantoccio di legno a figura intera (e in ciò diverso dal burattino), [manovrato dall'alto] per mezzo di uno o più fili, collegati alla testa e ad altri punti del corpo, per lo più fissati a un’impugnatura di legno o di ferro, che talora ha la forma di un bilancino o bilanciere, tenuta in mano dal marionettista, il quale con l’altra mano tira di volta in volta il filo occorrente a provocare un determinato movimento: rappresentazione di marionette; andare alle m.; teatro di marionette»



E allora, Pinocchio è un burattino oppure una marionetta?

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Si noti che il Trésor, indica l'eventualità che all'origine della parola vi sia un prestito:

 * BURATIN, subst. masc., BURATINE, subst. fém.Popeline dont la chaîne est de soie et la trame de laine. ,,Cette étoffe se passe à la calandre`` (BOUILLET 1859).
Rem. Attesté dans Ac. 1798-1878 et dans la plupart des dict. généraux.
Prononc. et Orth. : [], [-tin]. Ac. 1798-1878 : buratine. Cf. aussi
FÉR. 1768, LAND. 1834, GATTEL 1841; Ac. Compl. 1842 distingue buratin (subst. masc.) et buratine (adj.). BESCH. 1845 consacre 2 vedettes indépendantes à buratin et à buratine. Lar. 19e et Nouv. Lar. ill., s.v. buratin : ,,on dit aussi buratine``. LITTRÉ, s.v. buratine renvoie à buratin. GUÉRIN 1892, DG, Pt Lar. 1906-Lar. encyclop., ROB. et QUILLET 1965 admettent buratin ou buratine. Étymol. et Hist. 1690 buratine ou buratin (FUR.). Soit empr. à l'ital. burattino (cf. DG) dimin., avec suff. -ino, de buratto (v. burat; HOPE, p. 169), attesté au XIVe s. (DEI), soit dér. de l'a. prov. burat (FEW t. 1, p. 630b), attesté dep. 1346 (GAY, s.v.), suff. -in(e)*.
BBG.
HOPE 1971, p. 169.


lunedì 12 dicembre 2011

Scarpe & affini: una parola multiuso

La scarpa e la lingua.
In realtà, dovremmo dire: le calzature, ché la scarpa non comprende gli stivali etc. Calzature comprende tutto il campo lessicale e semantico. Ma è un termine ormai desueto, che compare ancora soprattutto nelle insegne di vecchi negozi... di calzature.

Scarpa è la parola ormai invalsa per designare ciò che portiamo ai piedi, per cui diciamo in modo generico: "Debbo comprarmi le scarpe/Vado a comprarmi le scarpe/"  anche se magari pensiamo a un paio di stivali o di scarponcini.

Fermo restando che esistono tantissime parole per designare ogni tipo di calzatura, per il cui lessico rinvio a questo link, mi interessa riportare qui alcune espressioni idiomatiche e qualche proverbio legato alla scarpa & parole affini.

photo Jacqueline Spaccini ©2011

1) Togliersi un sassolino dalla scarpa
Un sassolino nella scarpa fa male, dà fastidio, quando lo si toglie si prova immediato sollievo. In senso traslato,  un sassolino nella scarpa è  quel che si ha - da tempo - nella mente o nel cuore, da dire, che non si è detto in nome del rispetto di una qualche regola di civiltà oppure perché impossibilitati. Toglierselo, metaforicamente parlando, ha una valenza di sentimento di rivalsa, più che di vendetta, e quella cosa che si dirà farà male a chi ne è il destinatario. Nella mente di chi si toglie il sassolino, ci sono frasi tipo: E invece se lo vuoi proprio sapere, adesso ti dico che...

2) Tenere un piede in due scarpe
Fisicamente è impossibile. Metaforicamente, parrebbe di sì. Atteggiamento tipico di chi è codardo e/o opportunista, il quale non prende una posizione chiara e univoca, quindi dice sì e sissignore a due schieramenti opposti (può essere riferito alla politica, ma anche a un uomo/una donna che stia contemporaneamente con due persone)

3) Appendere le scarpe al chiodo 
Ai tempi miei, si diceva scarpini (cioè un particolare tipo di calzatura sportiva). Ha due significati. Il primo è quasi fisico: appendendo le scarpe sportive al chiodo, si smette di fare attività sportiva agonistica; il secondo è più generale, sta a intendere che si è smesso di fare qualcosa e ci si è tolti dalla competizione, dalla mischia, ci si è ritirati, non facendo più quel qualcosa - più o meno particolare (le  bocce, il lavoro, l'amore, etc.) - che si faceva prima.

4) Fare le scarpe (a qualcuno)
Fingersi amico (o smettere di esserlo, fingendo di continuare a esserlo) di qualcuno per rubargli il posto di lavoro (o qualunque cosa che  l'altro facesse o  cui l'altro tenesse o mirasse).

5) Non c'è scarpa bella che non finisca per diventar ciabatta
Riferito in genere a un essere umano (ma anche a qualcosa cui in genere si ambisce). Tutto si guasta, si rovina.

6) Essere una scarpa 
In origine, riferito a un calciatore: non essere bravo, essere una schiappa. Non è per davvero un complimento, ma neppure un vero insulto. Non essere capace.
Da non confondere con (Essere/sentirsi una scarpa vecchia)

7) Essere un pantofolaio
Una persona che sta in pantofole, in casa,  magari seduto su una poltrona o stravaccato su di un divano:  essere indolente.

8) Contadino, scarpe grosse e cervello fino
detto molto noto che si basa sull'antica scarsa considerazione che si aveva dei contadini. Sta a indicare che il fatto che il contadino usi scarpe grosse (perché si lavora nei campi e si indossano zoccoli aut similia) non esclude che sia persona intelligente e, anzi, astuta.

9) Avere il cervello sotto la suola delle scarpe
Come sarebbe un cervello in tali condizioni? Stritolato, spiaccicato, piallato, frantumato, disintegrato. E dunque il significato è: non averne.

10) Avere [Stare con] una scarpa e una ciabatta ('na scarpa e 'na ciavatta, in dialetto romano)
L'ho sentita dire tante volte. Il significato è comprensibile: immaginate una persona che vada in giro così calzato. Quale immagine di sé evocherebbe? Di provvisorietà.
Esiste anche l'espressione Essere una scarpa e una ciabatta (variante: e uno zoccolo): detto di una coppia (anche politica, non solo amorosa), sta a indicare  che suddetta coppia è male assortita.

Ce ne sono tante altre. Sarei lieta di aggiungere espressioni nuove che voi conoscete bene o che avete letto/ sentito pronunciare/ anche una sola volta.


le mie scarpe al parco
P.S. Julien suggerisce: Fare la scarpetta. Giusto. La " scarpetta" è ripulire con il pane il piatto dove si è appena mangiato. In  genere, il sugo. Per un'immagine concreta, clicca qui.

sabato 12 novembre 2011

A briglia sciolta (espressioni figurate I)

A partire da una mirabile trasmissione radiofonica in francese, Tire ta langue (France Culture) (clicca qui)  sulle intercomprensioni tra lingue affini, m'è venuto in mente di parlare un po' di espressioni che evocano oggetti, frutta aut similia, espressioni idiomatiche e frasi fatte per dire altro.
Es. Andar per farfalle.


oppure: andare a letto [andare a dormire] con le galline.



Non è difficile da comprendere: quando si vogliono acchiappare le farfalle, il retino prende più aria che farfalle: si va a vuoto (si gira/si pesca a vuoto). Senza contare che è un'attività apparentemente inutile. Quanto alle galline, non ho mai visto a che ora si ritirano all'interno del pollaio (da vera cittadina), ma immagino che sia presto, prima che annotti, al crepuscolo.

Più difficile comprendere perché in Italia quando fa freddo, si dica: fa un freddo cane [1] mentre un francese convoca l'anatra e il suo è un froid de canard [pare perché quando si caccia l'anatra è nel periodo in cui gela l'acqua degli stagni] e per un siciliano, nel sud dell'Italia dove solitamente fa molto caldo, il freddo è da lupi.

Lasciamo in pace gli animali e passiamo a espressioni che ho faticato a capire. Come per esempio:
Tra il lusco e il brusco[2] . Che cos'è il lusco? E il brusco?
Lusco vuol dire losco e brusco vuol dire aspro. Il vocabolario Treccani dice: «tra lusco e brusco, del tempo quando la luce è incerta, come nel crepuscolo della mattina o della sera, e fig. della espressione del viso, fra mite e severa». Mite, direi proprio di no! Beh, non è che abbia poi capito molto del perché si dica così, a dire il vero, a parte la storia del volto rabbuiato e i suoni affini. Lusco è comunque una parola che sopravvive solo in quest'espressione

E scomodiamo il tempo atmosferico. A parte che quello che in Italia è un tempo da lupi  in Francia lo stesso è de cochon (maiale; se volete sapere perché, cliccate qui), a parte questo, dicevo, quando piove cadono dal cielo cose strane e soprattutto diverse da Paese a Paese.

L'acqua in Italia viene giù a catini (cielo a pecorelle, pioggia a catinelle), in Francia piovono corde (il pleut des cordes), in Inghilterra vengono giù cani e gatti (It's raining cats and dogs)[3], in Germania spaghi e cordicelle (Es regnet Bindfäden) e in Belgio piovono mucche (il pleut des vaches).  
Insomma, fosse solo acqua, passi, ma così... si salvi chi può! [Fatemi scherzare, ogni tanto]








___________
[1] Non credo molto alla spiegazione che si dà qui dell'origine dell'espressione italiana
[2] Entre chien et loup, At dusk, In the twilight, Im Zwiehlicht
[3] Anche in Croazia, quando piove, vengon giù gli stessi animali del Regno Unito, ma prima i gatti e poi i cani:  je kiša mačke i psi.  Mi fa venire in mente una famosa "striscia" di Peanuts...

martedì 1 novembre 2011

Terrazzo, terrazza, terrazzino e balcon(cin)i vari

Milano - photo by JSpaccini


Mi è stato chiesto: quale differenza passa tra terrazzo e terrazza?

Innanzitutto dico che nemmeno i dizionari sono completamente d'accordo tra loro. Per moltissimi, poi, i due termini sono sinonimici.

Quindi, seguirò soprattutto le mie conoscenze, la mia esperienza. L'esperienza degli occhi. 
E ne approfitto per aggiungere tutto quanto sia afferente ai termini in questione.


TERRAZZA (s.f.) in genere è uno spazio non coperto (o coperto con materiale rimovibile) abbastanza ampio (almeno 20-25mq) e - sempre in genere - esso è posto all'ultimo piano di una casa o di un condominio (può essere anche di un hôtel, in tal caso, prende il nome di *solarium*)


Gli attici [attico= Ultimo piano abitabile di un edificio, gener. rientrato rispetto alla facciata] presentano il loro punto forte nella onnipresenza di una terrazza (rispetto al punto debole: l'assenza di un ascensore per arrivare al 5° piano, p. es.) ; ma vi sono terrazze anche a piano terra.

TERRAZZO (s.m.) è in genere lo stesso tipo di spazio, ma più piccolo [oppure uguale ma di forma più rettangolare e meno quadrata], spesso parzialmente coperto (copertura in muratura) e delimitato da muri/muretti. Es.




TERRAZZINO (s.m.) idem, molto più piccolo, ma nei condomìni di città:

(questo è fin troppo bellino e grandino)


BALCONE
Innanzitutto il balcone per essere tale deve FORZATAMENTE sporgere dalla facciata del palazzo (casa e quant'altro).  Il balcone è in genere adibito al solo sostegno di piante, fiori e rampicanti. Insomma, non c'è posto per tavoli sedie o tavolini...
Il balcone storico più famoso è, a Roma, quello di Piazza Venezia, da dove si affacciava il Duce. Il balcone letterario (o pseudostorico) più famoso è quello di Giulietta e Romeo a Verona.
Es, di balcone (quello della foto sottostante è un po' piccolo, ma va bene come esempio lo stesso):

Bordeaux - photo by JSpaccini
BALCONCINO (conserva le forme, ma lo spazio è ancora più infimo). I balconcini sono spesso esempi artistici: 

Treviso photo by JSpaccini






A VOI DIRE ORA COME SI CHIAMANO gli elementi architettonici qui sotto raffigurati  [la terza foto è estremamente facile]:

(le foto qui di seguito sono state scattate  tutte da me a Milano)






1.

2.

3.

4.

(particolare)


5. 

6.

P.S. Per i francesi italofili: quando si va al bar, al caffè e si fa una consumazione (si prende un caffè o qualche altra cosa) a) in piedi (au comptoir), seduti ai tavolini, 2) all'interno/in sala (salle) oppure all'esterno (à la terrasse).  In italiano: all'esterno si dice: *fuori*, *(seduto) ai tavoli*,  *all'esterno*. In terrazza o alla terrazza è un francesismo - a meno che non ci sia per davvero una terrazza. Il che può sempre essere...

Espressione giovanile: *star fuori come un balcone* (dire una mattana, una bestialità)
.


domenica 30 ottobre 2011

Tavolo o Tavola?


A volte una lingua possiede una parola omnicomprensiva, penso al francese *table*.
Per questa parola, in italiano bisogna scomodarne  altre.
Ne inserisco alcune, ma la lista non è esaustiva (e comunque parte da un confronto francese-italiano):

photo by Jacqueline Spaccini © 2010
1. tavolo (s.m.) : quello che abbiamo in casa e che si trova in cucina e/o in sala da pranzo. Il tavolo.

1.1. tavolino (s.m.) : in genere, un tavolo basso che si mette davanti al divano o a una poltrona. Il tavolino. Può a volte intendersi come table de nuit (= *comodino*)


2. tavola (s.f.) : in genere, nel parlare comune, si intende la *tavola apparecchiata*, con tanto di tovaglia e vettovaglie. Tant'è che si dice: «A tavola!», quando si invitano le persone ad accomodarsi, per il pranzo o per la cena. La tavola.

 2.1. tavola (s.f.) : da intendersi come illustrazione all'interno di un libro. Si usa anche il francese planche.  lLa tavola (e la planche).

2.2. tavola pitagorica (s.f.) :  questa - detta anche *tabellina* (le tabelline in generale, la tabellina del 5, del 6, del 9, p.es. in particolare). La tavola pitagorica (da Pitagora, chiaramente), la tabellina.
2.2.1. tabella (s.f.) : questa, per es. quante ne preparo per mettere i voti ai miei studenti! La tabella (tableau francese)

2.3. tavola (s.f.) : nel senso di quadro (in genere, un olio) dipinto su legno. *tavola del Quattrocento*, *tavola fiamminga*, per es.

2.4. tavola (s.f.) da stiro... meglio dire:  asse da stiro L'asse da stiro è sostantivo maschile.

2.5. tavola (s.f.)  : nel senso di asse (del pavimento), così.

2.6.  tavola (s.f.). espressione: a) il mare è una tavola = è piatto; b) far onore alla tavola =  mangiare con gusto, di tutto e abbondantemente e mostrarlo; c) tavola rotonda = dibattito, riunione; d) vino da tavola = vino di qualità ordinaria; e) la buona tavola = trattoria/ristorante (aut similia) in cui si mangia bene;


3. tavolata (s.f.) : non è un oggetto, bensì l'insieme delle persone che si mettono a tavola. La tavolata è in genere sempre allegra (automatismo linguistico).


per i francesi:
épreuve sur table = compito in classe
table = banco (quello di scuola)
table de cuisson = piano cottura (in cucina)
table des matières = indice
table d'hôte = menù* (a prezzo e a orario fisso)
planche à voile = wind-surf

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* in italiano,la parola francese *menu* prende l'accento sulla *u* (= menù)

sabato 29 ottobre 2011

Parentele, articoli determinativi e aggettivi possessivi

una scena del film Parenti serpenti

C'è una REGOLA che i miei studenti francesi (e gli stranieri in genere) faticano a imparare quando parlano italiano: la presenza o la non-presenza dell'articolo determinativo davanti all'aggettivo possessivo...
Quando finalmente imparano la regola, lo usano dappertutto. Ma non sempre occorre.
Per esempio quando l'aggettivo possessivo è seguito da un nome di parentela, bisogna stare attenti.

Vediamo di spiegarlo bene qui.

Ma prima mettiamo una lista di nomi di parentela:

madre (mamma) - padre (papà)
nonna   - nonno
zia - zio
moglie - marito

sorella - fratello
figlia - figlio
cugina - cugino
nipote [bisex(1]) - vale per i nipoti di zii e per i nipoti di nonni

cognata-cognato
suocera-suocero
nuora-genero

Come si vede, una lunga lista (non lunghissima, come in altre lingue).

Allora, abbiamo detto che quando si studia l'italiano, si apprende che l'aggettivo possessivo italiano ESIGE l'articolo, a differenza di altre lingue;

facciamo un esempio:

il mio(2)  amico
= = = = = = = = = = 
mon ami (français)
my friend (english)
mi amigo (español)
mein Freund (deutsch)
moj prijatelj (hrvatski)
meu amigo (português)

MA NON SEMPRE. A VOLTE, 
CI SONO DELLE ECCEZIONI
REGOLA n. 1
 Davanti ai nomi di parentela, si mantiene l'articolo determinativo (il, la, //i, le)
se i nomi sono questi:


(la mia) mamma
(il mio) papà, babbo (usato soprattutto in Toscana e in Umbria)
e inoltre davanti a tutti i nomi di parentela usati in forma vezzeggiativa
es.
il mio/il tuo/il suo/etc. : babbino, papino [papone/paparino(3)], maritino, cognatino, zietto, nonnino, fratellino, cuginetto, figlioletto, figlietto, figliolino, nipotino
[nuorina, suocerina aut similia, non si usano. Chissà perché!)

la mia /la tua/la sua/etc: mammina [mammetta(3)], mogliettina, cognatina, zietta, nonnina, sorellina, cuginetta, figlioletta, figlietta, figliolina, nipotina 


amante (il mio/la mia) la parola è bisex
fidanzato/fidanzata (il mio/la mia)


REGOLA n. 2

NON SI METTE L'ARTICOLO DETERMINATIVO se i nomi sono questi:

madre, padre (mia madre, mio padre)
nonna   - nonno (tua nonna, tuo nonno)
zia - zio (sua zia, suo zio) etc.
moglie - marito
sorella - fratello
figlia - figlio
cugina - cugino
nipote (bisex) - vale per i nipoti di zii e per i nipoti di nonni

cognata-cognato
suocera-suocero
nuora-genero

ma attenzione! 
la mia ex-moglie/il mio ex-marito; 
la mia zia (o altro parente)/il mio zio + aggettivo (preferito/a, adorato/a, bellissimo/a, gentilissimo/a, lontano/a, spagnolo/a)
oppure:
il mio cugino (o altro parente tranne - ovviamente - la madre e il padre) + di + luogo geografico (p. es. Melbourne).

Un po' più chiaro, ora?






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(1) quando dico bisex, intendo che vale tanto per il maschile quanto per il femminile (finisce per -e)
(2) scrivo «mio», ma vale per tutti gli aggettivi possessivi.
(3) con diverse sfumature, esistono anche papone e paparino e anche mammetta. *Nonnetta* esiste, ma in genere chi lo usa, indica una persona anziana che non è sua *nonna*, ma visto l'aspetto potrebbe esserlo. Non è educato, in italiano, dire nonnetta a una donna anziana.

domenica 11 settembre 2011

S'è smarrito... un verbo

L'altro giorno sono andata all'ufficio degli oggetti smarriti. Anzi no. In Francia si chiama Bureau des Objets Trouvés. Ho ripensato a Prévert.


Ma soprattutto m'è venuto in mente che in Italia s'è smarrito... un verbo.
A dire il vero, tanti verbi (sostantivi, aggettivi, avverbi e compagnia bella) si sono smarriti nel frattempo, ma iniziamo da SMARRIRE.

Smarrire è un verbo che - lo si sente subito - italiano non è. È di origine spagnola, viene da marrar (c'è quel *marr che funziona da stopper acceso) e significa perdere; ma anche confondere e anche errare. Interessante.

Ai tempi di Carlo Magno qualcuno che era marrito era turbato. Quindi: impedito, fermo, impossibilitato a proseguire, giacché il suo turbamento era un ostacolo (dal germanico *marr = ostacolo, difficoltà).

Il verbo smarrire è stato sempre pochissimo usato. E spesso in  espressioni preconfezionate:
smarrito cane, smarrito gatto, smarrita valigia, smarrita patente, smarrito passaporto, smarrito cellulare, smarrite chiavi (di casa o dell'auto).

Perché usare il verbo smarrire (allo scritto), quando nella vita quotidiano impieghiamo l'altro verbo, perdere?

Chi di noi direbbe a un amico: 
«Sono disperato, non so più come rientrare a casa: ho smarrito le chiavi
 Nessuno. 

Dire(m)mo:

«Oddio, mi sono perso le chiavi //ho perduto le chiavi di casa//... e adesso come faccio a rientrare?»
Non so, ma ho l'impressione che quando usiamo il verbo smarrire intendiamo che la colpa non è  nostra, come se le cose, gli oggetti e gli animali, avessero deciso spontaneamente di perdersi, di abbandonarci. Che idea bislacca, eh?

Ma torniamo al verbo in contesti più alti. Nel testo poetico italiano per eccellenza, troviamo:
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita...
Dante, già.
la foto è prelevata da qui

Smarrire la via, smarrire la strada (che si intenda in senso fisico oppure in senso figurato) e in ultima analisi smarrirsi.

Lo so, ormai, che una persona possa smarrirsi è cosa che può accadere solo negli stabilimenti marittimi, d'estate, quando, da un altoparlante, una voce - senza accenti di partecipazione emotiva -  annuncia:

Smarrito bambino di 5 anni con costumino rosso e cappellino blu. Chi lo ritrovasse è pregato di  accompagnarlo al Bagno n°...

Insomma, anche il povero verbo SMARRIRE... si è smarrito. 
Gianni Rodari ci scriverebbe una favola, su questo.
E forse, chissà, lo ha pure fatto.